Cinque storie, cinque vite, cinque uomini. Vite totalmente avulse, lontane che mai si toccheranno perché assolutamente diverse per esperienze, stato sociale, nazione dove si realizzano. Si sfiorano, si lambiscono senza mai toccarsi. Fino a quel maledetto 21 Marzo.
Burt è un cartografo canadese di istanza in Afganistan impiegato nella lotta alla droga e addetto alla riconversione delle culture di papavero. Zaheer anche lui canadese ma di origine Pakistana, dove torna per il matrimonio di una cugina e, anche controvoglia, scoprirà il suo nascosto amore per il Pakistan e per quella cultura a volte assurda a volte violenta. Davis cinese, lavora nel business dei karaoke a luce rosse, convive con i malviventi che riempiono i bassifondi di Dongguan ma combatte per sfuggire, per cambiare il suo destino, per arrivare in alto. Kofi ghanese è un giocatore di calcio che ha partecipato alle olimpiadi con la sua nazionale under 17, ma nel suo paese è difficile giocare con continuità non esistendo un vero campionato professionistico e gli agenti per trovare una squadra in europa, costano caro. Così con l’aiuto di un cugino riesce a trovare un ingaggio nel campionato professionistico di Hong Kong. Tutto il villaggio fa una colletta per pagargli il biglietto acquistato in una agenzia di viaggio in Ghana. Ed infine Lorenzo regista italiano, che vive il suo quotidiano con felicità, tra la figlia che ama e i vari set pubblicitari e musicali.
Un papavero, il giubbotto prestato al cugino, un parente infame, una carta di credito falsa e una dimenticanza fatale cambierà le loro vite.
Quel 21 Marzo appunto, quando il loro destino, li ha portati e fermati all’aeroporto di Dubai dove vengono arrestati e reclusi in un carcere di massima sicurezza in mezzo al deserto.
A dispetto di un inizio narrativo realistico, la reclusione non sfocia in un percorso di sofferenza e privazione ma in un vero e proprio teatro dell’assurdo che sfocia in una rappresentazione surreale dalle tinte comiche di un universo variegato e dalla provenienza più disparata. Dal campionato mondiale delle prigioni giocato in un cortile di cemento a piedi scalzi e con una palla fatta di calzini arrotolati, al difficile rapporto con il potere costituito, vestito in vestaglia e ciabattine della nonna. Dalla convivenza con usi e costumi assurdi fino alla raggiunta consapevolezza dell’importanza di un accendino. Una black commedy che fa dell’assurdo la sua sofferenza interiore e dell’intersezioni di stile i suoi colori. Un magma stilistico che parte da un realismo di denuncia arrivando, attraverso balletti e farse, ad una commedia a tutti gli effetti ma per la prima volta assolutamente realista e che rispecchia la realtà.
I nostri personaggi fluttueranno all’interno di questa grande commedia, vivendola in prima persona, osservandola, odiandola ma soprattutto assecondandola.
Hosh! (ovvero il cortile dove i detenuti vengono contati) è appunto il grido, simbolo di questo unico teatro dell’assurdo. Le diverse personalità dei nostri personaggi dovranno adattarsi, plasmarsi all’interno di questa esperienza unica, facendo nascere una salda amicizia che solo la coercizione poteva creare. Organizzeranno la fuga nei minimi particolare che verrà però sgominata........dall’annuncio della loro grazia, che sarà il grande finale da crescendo Rossiniano.